I biglietti da visita aziendali e la casella di posta elettronica non costituiscono prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

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È il caso di una signora che aveva convenuto in giudizio l’ex marito, ritenendo di avere effettuato prestazioni di lavoro subordinato in suo favore. Sostanzialmente, la donna aveva svolto il lavoro di segreteria presso l’impresa del marito, per il periodo della breve durata del loro matrimonio, ossia poco più di un anno.

A prova di detto vincolo di subordinazione, la ricorrente allegava la corrispondenza email intercorsa fra la stessa con i clienti e i biglietti da visita aziendali personalizzati con il suo nome, ritenendoli validi a provare il rapporto di lavoro e la qualifica di quadro pur in assenza di contratto.

Il Giudice del lavoro patavino in primo grado aveva ritenuto non sufficiente tale prova documentale, dal momento che, essendo le parti legate da vincolo matrimoniale, vige il principio di presunzione di gratuità delle prestazioni di lavoro offerte da un coniuge in favore dell’altro, in virtù del principio di solidarietà alla base dell’affectio coniugalis. Al fine di superare tale presunzione era necessario fornire prova rigorosa e incontrovertibile dell’assoggettamento al potere direttivo-organizzativo altrui e dell’onerosità del rapporto subordinato, tali da escludere con certezza che si potesse trattare di una collaborazione familiare gratuita.

Dello stesso avviso la Corte d’Appello di Venezia, chiamata dalla donna soccombente in primo grado a riformarne la sentenza. Al contrario, questa veniva confermata con rigetto integrale dell’appello proposto dalla signora, poiché la documentazione allegata provava sì un’attività lavorativa svolta, ma del tutto compatibile con la relazione affettiva coniugale e, dunque, non indicativa di una qualsivoglia soggezione ad un potere datoriale.

In particolare, in relazione ai biglietti da visita indicanti la dicitura “credit manager”, essi venivano considerati dalla Corte come finalizzati “alla mera spendita all’esterno del ruolo svolto all’interno della società”, senza essere indicativi di un rapporto di lavoro subordinato, bensì soltanto dello svolgimento di un’attività in favore di qualcuno.

Veniva dunque respinta la richiesta di riconoscimento dei compensi maturati per il rapporto di lavoro subordinato, con vittoria in entrambi i gradi di giudizio dell’ex marito resistente, rappresentato dagli Avv.ti Alessandro Luciano e Gianluca Ballo – soci cofondatori dell’omonimo Studio Legale Luciano|Ballo & Associati, e totale soccombenza dell’appellante (si veda l’allegata sentenza).

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