Il diritto all’oblio della madre biologica e la richiesta di revoca da parte del figlio adottato della riservatezza sulla identità della madre per conoscere le proprie origini biologiche

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Il diritto all’oblio consiste nella facoltà, garantita dalla legge italiana alla madre biologica, di partorire in ospedale sotto la garanzia di anonimato.

La nascita, in questi casi, viene dichiarata dal personale sanitario, che è tenuto ad omettere le generalità della donna. In simili ipotesi, vanno quindi a confliggere due contrapposti interessi: da un lato quello della madre a mantenere l’anonimato, dall’altro quello del figlio, che, una volta cresciuto (e in particolare dopo il venticinquesimo anno di età), voglia conoscere l’identità della propria madre biologica.

La legge ha sempre dato prevalenza all’interesse della madre, allo scopo di tutelare la vita del nascituro. Tale garanzia di anonimato, infatti, è finalizzata ad evitare aborti, infanticidi o abbandoni.

Con due recentissime sentenze, tuttavia, la Corte di Cassazione è intervenuta in questa delicata materia, colmando alcuni vuoti normativi.

In particolare con sentenza n. 1946/2017, la Corte di legittimità ha riconosciuto al figlio adottato che abbia desiderio di conoscere l’identità della madre biologica, di fare un’apposita richiesta al Giudice.

Con tale apposita richiesta verrà contattata  la madre biologica, consentendole di revocare o meno la riservatezza sulla propria identità.Se la donna sceglie di non procedere alla revoca, prevale il suo diritto all’oblio rispetto al diritto del figlio di conoscere le proprie origini.

Tale diritto all’oblio trova tuttavia un limite. Con sentenza n. 22838/2016, infatti, la Corte ha riconosciuto il diritto del figlio adottato a conoscere l’identità della madre biologica qualora questa sia deceduta. Questo in quanto, nel bilanciamento di interessi che è venuto a rideterminarsi in seguito della morte del genitore biologico, viene a prevalere l’interesse del figlio adottato a conoscere le proprie origini. Questo, precisa la Corte, a condizione della non lesione di diritti di terzi (discendenti e/o familiari).

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