Controlli datore di lavoro su strumenti informatici del lavoratore

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Il datore di lavoro può operare c.d. controlli difensivi sugli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa?

Lo Statuto dei Lavoratori regola i limiti al potere di controllo datoriale a tutela dei diritti del soggetto nella sua condizione di lavoratore mentre la disciplina in materia di privacy mira a proteggere il diritto alla riservatezza del dipendetene in quanto persona fisica.

Possono considerarsi strumenti di lavoro “gli apparecchi, dispositivi, apparati e congegni che costituiscono il mezzo indispensabile al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa dedotta in contratto, e che per tale finalità siano stati posti in uso e messi a sua disposizione” (cfr. circolare INL n. 2 del 2016).

I c.d. controlli difensivi sono quelli posti in essere dall’azienda in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di illeciti da parte del lavoratore come confermato da una recente pronuncia della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. Sent. N. 25732/2021). Tali controlli per essere leciti, tuttavia, devono essere effettuati ex post, ossia dopo il sorgere di un legittimo sospetto e non ex ante.

Una casistica importante è quella relativa alla posta elettronica ed ai computer aziendali in dotazione al dipendente che possono essere qualificati, in modo pacifico, come strumenti di lavoro.

Il datore di lavoro può riservarsi di controllare il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro ma deve rispettare la dignità e la libertà dei lavoratori, in particolare per quanto attiene al divieto di installare apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, tra cui sono certamente comprese strumentazioni hardware e software mirate al controllo dell’utente di un sistema di comunicazione elettronica.

Recentemente, con la sentenza n. 25732/2021, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un caso concernente il rapporto tra diritto alla riservatezza e dignità del lavoratore e i controlli difensivi posti in essere dal lavoratore per la tutela del patrimonio aziendale. Nella vicenda in esame, una lavoratrice aveva impugnato il proprio licenziamento motivato dal fatto che, in un accesso al suo computer aziendale, era stata rilevata la presenza di numerosi siti scaricati per ragioni private, tra i quali uno in particolare conteneva un virus che aveva poi infettato tutta la rete del sistema informatico aziendale.

Ebbene, confermando e consolidando ulteriormente il proprio orientamento in materia, la Cassazione ha ribadito che i controlli difensivi sono consentiti anche sulla strumentazione tecnologica aziendale e che gli stessi non rientrano nel campo applicativo dell’art. 4, comma 1 St. Lav.. Infatti, la Corte fa una distinzione ben precisa tra i controlli in senso lato che riguardano tutti o un insieme generalizzato di lavoratori che nello svolgimento delle proprie mansioni viene a contatto con il patrimonio aziendale, e quelli in senso stretto che riguardano l’accertamento di sospette condotte illecite dei singoli dipendenti.

In particolare, la Cassazione ha riaffermato che gli interventi datoriali debbano avvenire in presenza della necessità di accertare il sospetto comportamento illecito del lavoratore, e soprattutto ex post, ossia dopo l’insorgere del tale fondato sospetto.

 

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