Gli accordi dei coniugi in sede di separazione o divorzio: legittimità dell’estensione negoziale del diritto all’assegnazione della casa coniugale oltre i limiti imposti dalla legge e dalla giurisprudenza

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Un recente pronunciamento del Tribunale di Padova ha sancito la legittimità, sotto ogni profilo, degli accordi intercorsi tra i coniugi in sede di divorzio, relativamente all’assegnazione della casa coniugale.

La vicenda trae origine dal caso di un marito, che in sede di divorzio congiunto aveva concordato l’assegnazione della casa coniugale, di proprietà esclusiva di quest’ultimo, in favore della moglie, affinché vi abitasse con la figlia, all’epoca minore, fino al passaggio a nuove nozze o alla convivenza more uxorio della consorte con altro uomo, oppure al matrimonio della figlia.

Successivamente al divorzio, l’uomo si era risposato con un’altra donna, dalla quale aveva avuto un figlio e dopo alcuni anni si era separato nuovamente, rilasciando anche tale abitazione di sua proprietà alla seconda moglie, affinché vi convivesse con il figlio minore.

Raggiunta l’autonomia economica della prima figlia, allontanatasi dall’abitazione familiare assegnata alla madre, il marito proponeva ricorso per la modifica delle condizioni di divorzio, avanti al Tribunale di Padova, chiedendo la revoca del provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla moglie sulla base del raggiungimento dell’indipendenza economica della figlia, trasferitasi a vivere altrove, oltre che per il peggioramento delle proprie condizioni economiche. Deduceva di essere onerato della corresponsione di un assegno di mantenimento in favore della seconda moglie e del figlio, ai quali era stato costretto a lasciare l’abitazione di sua proprietà ed a trasferirsi in un appartamento in affitto, sopportandone la relativa spesa. Il suo reddito, inoltre, aveva subito una contrazione, in seguito al collocamento in pensione per il raggiungimento del limite di età lavorativa, non disponeva di altre entrate economiche, stante l’impossibilità per lo stesso di svolgere ulteriore attività lavorativa, a causa del proprio precario stato di salute.

Ciò nonostante il Tribunale di Padova rigettava il ricorso proposto dall’uomo, ritenendo l’accordo stipulato dai coniugi e recepito integralmente nella sentenza di divorzio, privo di profili di illegittimità, in quanto espressione di autonomia negoziale, modificabile o revocabile solo per mutuo consenso, non inquadrabile nell’ipotesi di assegnazione in senso proprio ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. (già art. 155 quater c.c.) e quindi non revocabile in caso di raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte dei figli maggiorenni.

Nelle procedure non contenziose finalizzate alla definizione della crisi coniugale, l’autonomia dei coniugi rappresenta, infatti, la fonte primaria di regolamentazione dei rapporti tra le parti. Secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, gli accordi raggiunti dai coniugi, nella separazione consensuale, cosi come nel divorzio congiunto, per la loro natura negoziale e per i profili patrimoniali che presentano, configurano veri e propri contratti (cfr. tra le altre, Cass. Civ. sent. n. 17607/2003).

La volontà dei coniugi viene però filtrata dal controllo giurisdizionale (decreto di omologa e sentenza) e quindi è fondamentale individuare quali siano i possibili contenuti degli accordi tra i coniugi e conseguentemente, a seconda dei diversi contenuti, quali siano da un lato la misura ed i limiti del potere di controllo del Tribunale e dall’altro la misura ed i limiti dell’autonomia delle parti.

Nell’accordo tra le parti, in sede di separazione e di divorzio, si ravvisa un contenuto necessario (attinente all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno di mantenimento per il coniuge economicamente più debole) ed un contenuto eventuale (la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi).

Oggi si ammette sempre più frequentemente un’ampia autonomia negoziale e la logica contrattuale, là dove essa non contrasti con l’esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli, si afferma con maggior convinzione (cfr. Cass. Civ., sez. I, del 20/08/2014 n. 18066).

Per quanto attiene, specificatamente, all’assegnazione della casa familiare sicuramente questo è un importante settore dove i genitori possono intervenire sia per eventualmente stabilire dei limiti in termini di spazio e tempo, sia per stabilire estensioni o modifiche in melius del diritto stesso. Ad esempio è possibile che le parti si accordino per prolungare il diritto all’assegnazione anche oltre i limiti disegnati dalla legge e dalla giurisprudenza, ancorati esclusivamente alla tutela dei preminenti interessi dei figli minori e maggiorenni non economicamente autosufficienti, a mantenere inalterato il proprio habitat domestico. Recentemente una sentenza della Corte di Cassazione ha dichiarato valido l’accordo dei coniugi di protrarre il diritto all’assegnazione fino al termine della convivenza con i figli, ancorché autosufficienti (cfr. Cass. Civ. sent. n. 387/2012).

Autorevole dottrina individua in questa sentenza un segnale di apertura verso una valorizzazione degli accordi tra i coniugi, nel senso di ampliare un diritto fino ad oggi interpretato in termini di stretta tipicità. Pareva essere un punto fermo quello dell’impossibilità di utilizzare il provvedimento di assegnazione per tutelare altre e diverse esigenze soprattutto quelle economiche tra i coniugi, o comunque bisogni e necessità ultronei al perimetro disegnato dalla Cassazione. Si pensi alla recente posizione della Corte di legittimità, che ha ritenuto essere sostanzialmente atipico il provvedimento di assegnazione adottato su accordi dei coniugi in mancanza di prole, ritenendo che lo stesso non sia opponibile ancorché trascritto, né ai terzi acquirenti, né al coniuge non assegnatario che intenda proporre domanda di divisione giudiziale del cespite (cfr. Cass. Civ. sent. n. 4735/2011).

L’unico modo, pertanto, per consentire al marito di rientrare nella disponibilità dell’immobile di sua proprietà adibito a casa coniugale ed assegnato alla moglie, fino alle eventuali nuove nozze o convivenza more uxorio della stessa, consiste nel provare l’esistenza di una effettiva e duratura convivenza della moglie con altro uomo, all’interno della predetta abitazione, che dovrà di conseguenza essere riconsegnata al legittimo proprietario.

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