I figli minori capaci di discernimento nei procedimenti civili che li riguardano devono essere ascoltati dai giudici che devono emettere provvedimenti che abbiamo come destinatari anche indiretti i minori stessi

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Nei giudizi civili ove debbono essere adottati dei provvedimenti riguardanti soggetti minorenni, il nostro ordinamento prevede che gli stessi, se capaci di discernimento, vengano ascoltati dal giudice.

Sembrerebbe un’ovvietà, ma, a ben vedere, si tratta di una previsione che è stata ufficializzata nel nostro ordinamento soltanto con la riforma sulla filiazione del 2012.

Le disposizioni normative che disciplinano l’ascolto dei minori riguardano, a titolo esemplificativo, i giudizi di separazione e divorzio dei genitori, quelli riguardanti limitazioni alla responsabilità genitoriale, quelli relativi al riconoscimento del rapporto di filiazione naturale, quelli inerenti la sottrazione internazionale di minori da parte di uno dei genitori e, ancora, i procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore.

L’audizione è un diritto del minore perché, proprio attraverso il suo ascolto, egli ha la possibilità di esprimere liberamente la propria opinione o la propria volontà riguardo una particolare questione che lo riguardi ed in relazione alla quale il giudice è chiamato a pronunciarsi.

Quest’ultimo, come anticipato, ha l’obbligo sancito dalla legge di procedere all’ascolto del bambino o dell’adolescente in tali occasioni, purché il minore abbia già compiuto i 12 anni, oppure, se più piccolo, se vi è la c.d. “capacità di discernimento”.

Non è purtroppo possibile stabilire a priori quando un minore acquisisca tale capacità, posto che, secondo la psicologia infantile, le competenze del bambino, in termini di autonomia di pensiero e di discernimento, maturano in tempi diversi a seconda dell’esperienza e dei vissuti di ciascuno.

Il giudice, a tal proposito, non può disporre una perizia volta ad accertare la capacità di discernimento del minore e, pertanto, dovrà affidarsi alla propria personale percezione discrezionale.

In linea di principio, si ritiene che un bambino abbia tale capacità quando è in grado di comprendere il senso dell’incontro per il quale viene sentito dal giudice, il che generalmente accade quando il minore è in età scolare, ossia tra i sei ed i dodici anni.

Tuttavia, nella pratica non è diffuso l’ascolto di minori che non abbiano compiuto almeno il decimo anno d’età, salvo casi particolari, quali l’ascolto di fratelli, i quali vengono solitamente tutti ascoltati, indipendentemente dalla sussistenza in capo a ciascuno della capacità di discernimento, al fine di comprenderne i reciproci legami ed avere una visione d’insieme del quadro familiare.

I bambini che non abbiano tale capacità possono essere eventualmente oggetto di valutazione attraverso una consulenza tecnica disposta dal giudice.
Uno degli equivoci più diffusi è quello di ritenere l’ascolto del minore un diritto dei genitori, ovvero un elemento di prova da richiedere al giudice, nella speranza che il figlio dichiari fatti favorevoli al genitore, parte in causa, che ne richiede l’ascolto.

Come detto, l’ascolto è un diritto solo ed esclusivamente del minore e non può esser in alcun modo equiparato ad una testimonianza ed utilizzato qual mezzo di prova al servizio delle parti, i cui rapporti, di regola, sono spesso aspramente conflittuali, tanto da portarli, talvolta, a dimenticarsi del bene superiore dei propri figli.

A tal proposito, è bene tener presente che ascoltare i minori non costituisce soltanto un onere giudiziario, bensì è un dovere che incombe sempre e comunque sui genitori.

In caso di contrasto tra i genitori, prima ancora di adire le vie legali, gli stessi sono tenuti a dare ascolto ai desideri ed alle opinioni espresse dai propri figli, evitando, ove possibile, di instaurare faticosi ed inutili processi.

Una condotta contraria a questo principio sarà sicuramente valutata negativamente dal giudice all’esito del processo.

L’audizione è un adempimento previsto a pena di nullità, anche se è previsto che il giudice possa escluderlo se lo ritiene manifestamente superfluo od in contrasto con l’interesse del minore, purché di tanto ne dia motivazione specifica e circostanziata.

L’omessa audizione del minore, in mancanza di idonea motivazione, costituirebbe infatti un’evidente (e grave) violazione del principio del contraddittorio e del giusto processo.

L’audizione del minore deve essere effettuata con tutte le cautele e le modalità necessarie per evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti e consentirgli di esprimere liberamente e compiutamente le sue opinioni ed esigenze.

A tal proposito, il giudice può decidere con ampia discrezionalità le modalità con cui procedere all’audizione, che può dunque esser condotta personalmente dal giudice, eventualmente con l’ausilio di uno psicologo infantile, oppure da quest’ultimo direttamente, se del caso in assenza dei genitori e/o dei difensori degli stessi.

È importante sapere che non può soprassedersi all’ascolto del minore adducendo la circostanza che lo stesso è già stato esaminato od interpellato da altri soggetti, quali ad esempio gli assistenti sociali.

Le eventuali relazioni degli assistenti sociali acquisite nel fascicolo processuale non possono considerarsi sostitutive dell’audizione del minore, in quanto è necessario che all’ascolto del minore proceda un soggetto che sia stato investito dal giudice competente a svolgere tale incombente, che informi il minore stesso delle istanze e delle scelte che lo riguardano.

Da ultimo, va evidenziato che il giudice non è tenuto ad adeguarsi alle richieste avanzate dal minore in sede di audizione.

Ne dovrà certamente tener conto nella misura in cui le stesse siano importanti per comprenderne i bisogni e tutelarne le aspirazioni ed i desideri.

Purtuttavia, ogni decisione assunta in relazione al minore dovrà esser assunta tenendo conto solo ed esclusivamente del suo interesse, anche se ciò confligge con le aspettative di questi.

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