Il conducente è tenuto a verificare l’uso delle cinture di sicurezza da parte del trasportato, in caso contrario risponde in concorso con quest’ultimo per i danni cagionati ai terzi ed allo stesso trasportato in caso di sinistro stradale

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Il conducente di un veicolo non può porre o tenere in circolazione lo stesso, se si è reso conto che qualcuno dei trasportati non si conforma alle regole stabilite dalla normativa sulla circolazione stradale.

Si tratta del principio espresso da una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto sussistente un’incidenza causale nell’evento dannoso derivante da un sinistro stradale, dovuto al mancato uso delle cinture di sicurezza da parte del trasportato, da ascrivere oltre che al trasportato (quale trasgressore della norma di circolazione stradale che impone l’uso delle cinture di sicurezza) anche al comportamento del conducente, per aver reso comunque possibile la circolazione del veicolo.

Pur non essendo il destinatario della norma, il conducente rimane in ogni caso l’unico responsabile della “circolazione del veicolo”, con la conseguenza che egli è tenuto, sotto un profilo di normale diligenza, ad effettuare detta circolazione in sicurezza e nel rispetto delle norme.

Rifacendosi a conformi precedenti giurisprudenziali, la Cassazione ha rilevato che il conducente, in quanto responsabile dei danni, prodotti dalla circolazione del veicolo, concorre con il trasportato, nella responsabilità dei danni da quest’ultimo causati ai terzi (cfr. Cass. Civ. n. 6145/87; n. 8216/2002).

Ne consegue, che qualora la messa in circolazione del veicolo, in condizioni di insicurezza sia ricollegabile all’azione od omissione non solo del trasportato, ma anche del conducente (che prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità alle normali norme di prudenza e sicurezza), fra costoro si è formato il consenso alla circolazione medesima con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell’altro ed accettazione dei relativi rischi. In altri termini, si verifica un’ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell’azione produttiva dell’evento.

In tale situazione, a parte l’eventuale responsabilità verso i terzi, secondo la disciplina dell’art. 2051 c.c., deve ritenersi risarcibile, a carico del conducente del suddetto veicolo e secondo la normativa generale degli artt. 2043 c.c., art. 2056 c.c., art. 1227 c.c., anche il pregiudizio all’integrità fisica che il trasportato abbia subito in conseguenza dell’incidente, tenuto conto che il comportamento dello stesso, nell’ambito dell’indicata cooperazione, non può valere ad interrompere il nesso causale fra la condotta del conducente ed il danno, né ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili.

Per tali motivi, il conducente di un veicolo è tenuto, in base alle regole della comune diligenza e prudenza, ad esigere che il passeggero indossi la cintura di sicurezza ed in caso di renitenza, anche a rifiutarne il trasporto o sospendere la marcia. Si segnala, altresì, che il conducente che non faccia indossare le cinture di sicurezza, risponde del delitto di lesioni colpose da sinistro stradale ai danni del passeggero, perché l’obbligo di verificare l’uso delle cinture rende l’evento non riconducibile a colpa esclusiva della persona offesa.

Ad ogni modo, l’omesso uso delle cinture di sicurezza costituisce comportamento colposo del danneggiato, ovvero del trasportato, causalmente rilevante per il verificarsi del pregiudizio, che può determinare una diminuzione del risarcimento dovuto da parte del conducente ai sensi dell’art. 1227 c.c.. A tal fine, la giurisprudenza richiede però l’allegazione e la dimostrazione che il corretto uso dei dispositivi di sicurezza avrebbe ridotto (o eventualmente eliso) il danno, precisando che il mancato utilizzo delle cinture e l’incidenza eziologica di tale omissione sull’evento dannoso sono elementi suscettibili di essere appurati mediante consulenza tecnica disposta dal giudice, quale strumento di accertamento e ricostruzione dei fatti storici prospettati dalle parti.

Si evidenzia, infine, che il principio di cui all’art. 1227 c.c. della riduzione proporzionale del danno in ragione dell’entità percentuale dell’efficienza causale del soggetto danneggiato, si applica non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito e al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l’evento di danno subìto proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni subiti iure proprio (Cass. civ., sez. III, 23-10-2014, n. 22514).

Nella specie, a seguito di un incidente stradale in cui la minorenne danneggiata aveva concorso a cagionare il danno, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ridotto, in proporzione alla colpa della ragazza, anche il risarcimento spettante ai genitori a titolo di danno da lesione del rapporto familiare e di danno morale, pervenendo a tale conclusione non solo in applicazione dell’art. 2048 c.c., e dunque del principio per cui del fatto illecito del minore erano tenuti a rispondere i genitori, ma anche dell’art. 1227, comma 1, c.c.

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