Il coniuge separato ha diritto alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge anche in caso di addebito della separazione

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La pensione di reversibilità va riconosciuta anche in favore del coniuge legalmente separato per colpa o con addebito, che va equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite, separato o non, in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte.

A stabilirlo la Suprema Corte di Cassazione – sezione lavoro – con sentenza n. 07464 del 15/032019, in accoglimento del ricorso formulato da una donna, vedova e separata, senza il riconoscimento dell’assegno di mantenimento, avverso alla sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bologna che – confermando la pronuncia del Tribunale di Forlì -le aveva negato il diritto ad ottenere la pensione di reversibilità, quale coniuge separato senza diritto agli alimenti.

Secondo la Corte di Appello di Bologna, infatti, la donna non fruendo di erogazione di alimenti in capo all’ex coniuge ed in suo favore, non poteva rivendicare, dopo il decesso di costui, l’attivazione di un trattamento previdenziale a suo vantaggio, posto che la pensione di reversibilità non è solo la prosecuzione in favore di terzi del pregresso diritto a pensione dell’avente titolo, ma è la prosecuzione in favore di terzi aventi diritto.

Tale impostazione è stata completamente disattesa dalla Corte di Cassazione, in quanto contraria alla costante giurisprudenza di legittimità, che riconosce la pensione di reversibilità non solo al coniuge in favore del quale il coniuge defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento, ma, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 1987, anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge (separato o non), in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo il trattamento alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurato dalla pensione in titolarità del coniuge defunto.

In particolare è stato affermato che, dopo la riforma dell’istituto della separazione personale, introdotto dal novellato art. 151 c.c. e la sentenza della Corte Costituzionale sopra citata, non sia più giustificabile il diniego, al coniuge cui fosse stata addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli.

Invero, osserva la Corte, nella pronuncia indicata e nelle altre successive, la Corte Costituzionale ha giustificato la propria posizione anche con considerazioni legate alla necessità di assicurare la continuità dei mezzi di sostentamento che in caso di bisogno il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornire all’altro coniuge separato per colpa o con addebito, mentre non sono indicate condizioni ulteriori, rispetto a quelle valevoli per il coniuge non separato per colpa, ai fini della fruizione della pensione. Ad ambedue le situazioni è quindi applicabile l’art. 22 della L. n. 903/65, il quale non richiede (a differenza che per i figli di età superiore ai diciotto anni, per i genitori superstiti e per i fratelli e sorelle del defunto), quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità, la vivenza a carico al momento del decesso del coniuge e lo stato di bisogno, ma unicamente l’esistenza del rapporto coniugale col coniuge defunto pensionato o assicurato.

In definitiva, la ratio della tutela previdenziale sottesa alla legge citata è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga (anche per il coniuge separato per colpa o con addebito) concreto presupposto e condizione della tutela medesima.

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