La domanda di assegno di mantenimento in sede di divorzio può essere richiesta successivamente alla sentenza di divorzio anche se è stata emessa all’estero

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Il coniuge economicamente più debole, il quale abbia ottenuto all’estero la pronuncia di una sentenza di divorzio, riconosciuta in Italia, può richiedere al giudice italiano l’assegno di mantenimento a carico dell’altro coniuge.

A sancirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza del 01/02/2016 n. 1863, con la quale ha respinto il ricorso di un ex marito che si opponeva alla decisione della Corte di Appello di Firenze, che aveva accolto l’istanza della ex moglie per la corresponsione dell’assegno divorzile. Secondo la tesi propugnata dal ricorrente, poiché la sentenza pronunciata all’estero era stata immediatamente riconosciuta in Italia, la sentenza straniera doveva essere assimilata, per quanto riguarda gli effetti, ad una pronuncia emessa dall’autorità giudiziaria italiana, con la conseguente preclusione processuale all’accertamento dell’assegno divorzile, che doveva essere deciso congiuntamente alla sentenza di divorzio.

Tale tesi non è però stata accolta dalla Suprema Corte, la quale ha ritenuto che non sussista alcun principio di rango costituzionale che preveda l’obbligo di una regolamentazione contestuale dei diritti e doveri scaturenti dallo scioglimento del vincolo coniugale, specie se si considera che il nostro ordinamento riconosce anche la sentenza non definitiva di divorzio, che statuisce unicamente sullo status e rinvia al successivo corso del giudizio per l’adozione dei provvedimenti conseguenti.

La Cassazione ha ritenuto, pertanto, che la richiesta di corresponsione dell’assegno divorzile deve essere configurata come una domanda autonoma rispetto a quella di scioglimento del matrimonio, di conseguenza, la parte che nel corso del giudizio non l’abbia ritualmente proposta, potrà avanzarla successivamente senza che a ciò sia di ostacolo l’intervenuta pronuncia di scioglimento del vincolo coniugale anche se questa è intervenuta all’estero e in conformità ad un ordinamento che non ne consente la proposizione nel medesimo giudizio di modifica dello stato di coniugio.

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