Non commette il delitto di abbandono di incapace l’amministratore di sostegno che omette di vigilare sull’incolumità individuale del beneficiario.

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Con sentenza n. 7974 depositata in data 26/02/2016 la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che nei confronti dell’amministratore di sostegno, figura istituita nel nostro ordinamento con legge n. 6 del 2004, non è configurabile il delitto di abbandono di persone minori od incapaci previsto dall’art. 591 del c.p., riconoscendo che il ruolo di tale soggetto è limitato alla gestione dei soli interessi patrimoniali del beneficiario, senza estendersi automaticamente alla cura della persona.

Il delitto di abbandono di minori o persone incapaci è difatti pacificamente considerato un reato proprio, ovvero che può essere commesso solamente da parte di un soggetto che riveste una posizione di garanzia nei confronti del soggetto passivo, sia esso minore od incapace. La condotta consiste nell’abbandono della vittima, cioè nella volontaria sottrazione, anche solo parziale o temporanea, dagli obblighi di custodia o di cura, con la consapevolezza di esporre, in tal modo, il soggetto incapace ad un pericolo per la propria incolumità individuale.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, la sentenza impugnata individuava la condotta di abbandono nel non aver segnalato agli organi di riferimento la necessità di un immediato ricovero dell’amministrata in una struttura protetta, senza prendere in considerazione il problema di individuare una posizione di garanzia in capo all’amministratore di sostegno rispetto al soggetto amministrato.

La l. n. 6 del 2004, all’art. 1, attribuisce all’amministrazione di sostegno la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.

Nello svolgimento dei suoi compiti, l’amministratore di sostegno deve sempre tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario (art. 410, comma 1, c.c.) e a questo dovere di ascolto, si accompagna quello di informare tempestivamente il beneficiario circa gli atti da compiere, nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso (art. 410, comma 2, c.c.).

Pur avendo, pertanto, un obbligo di relazionare periodicamente sull’attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario, il compito dell’amministratore di sostegno resta fondamentalmente quello di assistere la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali e non anche nella cura della persona. Ciò significa che, in mancanza di apposite previsioni nel decreto di nomina, l’amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell’incolumità individuale del soggetto incapace.

Dato che nel caso di specie mancava qualsiasi richiamo al decreto del giudice tutelare, in forza di tutto quanto detto la Cassazione ha quindi accolto il ricorso proposto da un amministratore di sostegno avverso la sentenza con la quale egli era stato condannato per abbandono di incapace, per aver omesso di accudire la donna sottoposta alla sua amministrazione per un fine settimana, finché la stessa non venne trovata in pessime condizioni igieniche e priva di cibo e bevande.

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