Non può essere dichiarata l’inabilitazione dell’anziano genitore che dispone dei propri beni in favore degli amici

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Con una recente sentenza n. 786 del 13/01/2017 la Corte di Cassazione ha stabilito che non può essere dichiarata l’inabilitazione per prodigalità nei confronti dell’anziano genitore che sceglie di compiere generosi atti di liberalità nei confronti di amici fedeli, anziché lasciare il patrimonio ai familiari assenti da anni nella sua vita.

Il caso trae origine dal ricorso presentato dalle tre figlie dell’uomo, che avevano chiesto gli fosse affiancato un curatore, allarmate dagli atti di estrema liberalità compiuti dal genitore nei confronti dei propri amici.

La Corte d’Appello di Roma, in accoglimento del gravame proposto dall’anziano genitore contro la sentenza emessa dal Tribunale di Roma, che in adesione alla domanda delle figlie, ne aveva dichiarato l’inabilitazione per prodigalità ex art. 415, secondo comma c.c., aveva rigettato quella domanda, revocando la nomina del curatore provvisorio.

Secondo la Corte territoriale l’impugnazione andava accolta in quanto, esclusa la malattia psichica ed il deterioramento cognitivo dell’anziano o un disturbo psichiatrico, andava esclusa anche la prodigalità.

Le rilevanti dismissioni immobiliari e gli investimenti criticati dalle ricorrenti, infatti, non potevano considerarsi indicative di una tendenza allo sperpero per incapacità di appezzare il valore del denaro o per frivolezza, vanità od ostentazione.

Le figlie, inoltre, si erano allontanate dal padre senza più cercarlo, né tantomeno prendersi cura di lui da circa un ventennio, di conseguenza le critiche e le censure svolte dalle stesse erano volte unicamente a finalità conservative del patrimonio del genitore che, invece, quest’ultimo sarebbe stato libero di investire per gratitudine, affetto e riconoscenza verso chi gli è e gli è stato vicino.

Tale decisione viene confermata in Cassazione, che con la sentenza in commento rinvia all’autorevole e risalente orientamento giurisprudenziale espresso con la sentenza n. 6805 del 1986, secondo la quale la prodigalità, cioè un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere, nel regalare o nel rischiare, eccessiva rispetto alle proprie condizioni socio-economiche ed al valore oggettivamente attribuibile al denaro, configura un’autonoma causa di inabilitazione ai sensi dell’art. 415, secondo comma c.c., anche quando non derivi da una malattia o infermità, ma si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, ma tutto ciò purché sia ricollegabile a motivi futili (ad esempio frivolezza, vanità, ostentazione del lusso, disprezzo di coloro che lavorano, dispetto verso vincoli di solidarietà familiare).

Da ciò deriva che il comportamento tenuto dall’anziano genitore, nel caso di specie, non può costituire ragione di inabilitazione del suo autore, quanto risponda a finalità aventi un proprio intrinseco valore, ad esempio l’aiuto economico verso persona estranea al nucleo familiare, ma legata da affetto.

La Corte territoriale ha chiarito che, nel caso in esame, l’uomo ha posto in essere atti di disposizione del proprio patrimonio economicamente non vantaggiosi, con lucidità e misura, senza eccedere per vanità, lusso o sproporzione rispetto a quanto consentitogli, per motivi di riconoscenza e per beneficiare persone a lui care. La redistribuzione della ricchezza a persone a lui vicine (ad esempio una coppia di amici e l’unico figlio rimastogli accanto), pertanto, è stata una risposta positiva e costruttiva al naufragio della propria famiglia.

Per i giudici di merito, l’accertato stato di fragilità psicologica, causato dalla disintegrazione della famiglia, avrebbe visto l’uomo reagire con lucidità, cercando, trovando e valorizzando altri rapporti affettivi. Inoltre, sarebbero mancanti, nel caso di specie, anche i presupposti (infermità o menomazione psico- fisica impeditiva della capacità di provvedere ai propri interessi) per l’apertura di un’amministrazione di sostegno.

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