Non si commette il reato di ricettazione se si è “acquirente finale” di merce contraffatta

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Il 30 marzo 2016 la Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 12870, ha sancito il principio secondo cui il soggetto che acquista merce contraffatta, va esente da responsabilità penale ex art. 648 solo nel caso in cui egli sia l’“acquirente finale” della merce, cioè che l’abbia acquistata per sé e non per rivenderla o per regalarla ad altri; andrà incontro solamente ad una sanzione amministrativa prevista dal D.L. n. 35 del 2005.

La Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in tal senso intervenendo sulla questione che riguardava un soggetto nella cui autovettura erano stati rinvenuti numerosi capi di abbigliamento chiaramente contraffatti.

In primo grado l’imputato era stato condannato per il reato ex art. 474 c.p., introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, e per il reato di ricettazione ex art. 648. La Corte di Appello aveva poi parzialmente riformato la sentenza assolvendo l’imputato per il reato sub art. 474, perché non c’erano prove idonee a dimostrare che i capi fossero destinati alla successiva vendita, ma ritenendolo comunque colpevole del reato ricettazione; al fine della sussistenza del reato di ricettazione è necessaria l’esistenza di un reato presupposto, individuato dalla Corte nella fattispecie ex art. 473, contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali.

L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto poi ricorso per Cassazione la quale lo ha accolto, annullando la sentenza con rinvio ad una sezione differente della Corte di Appello di Lecce affinché giudichi la causa alla luce dei principi enunciati dalla Corte la quale, rifacendosi a precedenti sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n.23427 del 2001 e sentenza n.22225 del 2012), ha dichiarato che rimangono fuori dall’area di punibilità penale i c.d. “acquirenti finali” del prodotto contraffatto.

La Corte sottolinea però che si deve utilizzare una accezione restrittiva di acquirente finale, dovendosi intendere per tale solamente il soggetto che acquisti per uso strettamente personale il bene contraffatto rimanendo estraneo sia al processo produttivo che a quello diffusivo.

Tale delimitazione è talmente restrittiva che la conseguenza a cui porta è che risponde del reato di ricettazione, certamente chi ha intenzione di vendere il bene contraffatto, ma anche chi ha intenzione di regalarlo dal momento che contribuisce ugualmente alla diffusione del bene, essendo assolutamente irrilevante il titolo gratuito o oneroso di tale diffusione.

A titolo esemplificativo si può citare la sentenza n. 3000 del 2016 della Corte di Cassazione in cui sono stati condannati per ricettazione due imputati i quali erano stati trovati in possesso di numerosi capi di vestiario femminile, nonostante non ci fosse la prova dell’intenzione di vendita successiva dei prodotti; la tipologia di indumenti lasciava chiaramente intuire che non fossero destinati ad uso personale ma ad essere regalati a familiari e dipendenti, come da loro stessi ammesso.

La Corte che dovrà rigiudicare il caso dovrà quindi verificare a che titolo l’imputato possedeva la merce contraffatta, dovendo decidere per l’assoluzione nel caso in cui risulterà un uso strettamente personale.

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