Quando è possibile il trasferimento del dipendente che assiste un familiare disabile

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Esiste un limite legislativo al trasferimento del lavoratore che assiste il familiare disabile, il quale ha diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio.

Nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore può essere soggetto al mutamento della propria sede di lavoro, in base al potere direttivo che la legge, con l’art. 2086 c.c., affida al datore di lavoro. Il trasferimento del lavoratore consiste in uno spostamento definitivo del dipendente senza limiti di durata da una sede di lavoro ad un’altra. Esso è disciplinato dall’art. 2103 c.c. secondo cui il trasferimento può essere attuato solo in presenza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive”.

Ciò significa che un lavoratore può essere trasferito solo a condizione che l’azienda possa dimostrare, ad esempio, che la presenza del dipendente nella sede di provenienza non è più utile o che è necessaria la sua particolare professionalità nella sede di destinazione e che, dunque, sono effettive le ragioni poste alla base della decisione aziendale. Chiaramente resta ferma l’insindacabilità della scelta del datore di lavoro tra diverse soluzioni organizzative adottabili.

Il datore di lavoro è inoltre tenuto a comunicare al lavoratore il trasferimento in forma scritta, ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. n. 152/1997, per il quale il datore di lavoro deve comunicare al lavoratore in forma scritta “qualsiasi modifica degli elementi di cui agli articoli 1 e 2” e quindi anche la modifica del luogo di lavoro indicato nella lettera d’assunzione, appunto ex comma 1, lettera b) dell’art. 1 dello stesso decreto legislativo.

D’altra parte, come più volte ribadito dalla giurisprudenza, nel caso in cui il dipendente contesti la legittimità del trasferimento, l’azienda ha l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato.

Qualora il dipendente reputi illegittimo il trasferimento disposto dal datore di lavoro, potrà rifiutarsi di eseguire la prestazione nella nuova sede di lavoro solamente qualora il suddetto provvedimento datoriale vada ad incidere su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, sempreché quest’ultimo abbia comunque offerto la propria prestazione presso la sede originaria.

Le esigenze di vita e familiari del lavoratore assumono particolare rilevanza con riferimento al lavoratore che usufruisce dei permessi ex L. 104/92 per l’assistenza a familiari disabili, per i quali l’art. 33, comma VI, della L. 104/92 prevede che oltre ad avere diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, stabilisce, altresì, che quest’ultimo non possa essere trasferito in altra sede senza il suo consenso.

Tale diritto non è però assoluto, nel senso che vi possono essere delle cause tali da poter legittimamente consentire il trasferimento, come ad esempio: l’incompatibilità ambientale e la ridotta distanza tra la nuova sede di lavoro e quella precedente.

Pertanto, il giudizio sulla legittimità del trasferimento deve essere condotto considerando, da un lato, quanto il mutamento di sede alteri le condizioni di vita del contesto familiare in cui è inserito il portatore di handicap, dall’altro, se vi siano e quale rilevanza abbiano le esigenze produttive sottese al trasferimento.

Si precisa che il bilanciamento tra diritti e interessi del lavoratore e del datore, aventi entrambi copertura costituzionale, deve essere fatto valorizzando le esigenze di cura e assistenza del disabile ed evitando riflessi pregiudizievoli ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque suscettibili di essere diversamente soddisfatte.

Alla luce di tali principi la Suprema Corte ha, infatti, cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittimo il rifiuto del lavoratore al trasferimento in quanto la nuova sede di lavoro si trovava a pochissimi chilometri di distanza da quella originaria e dall’abitazione del dipendente. In tal modo i giudici di merito avevano omesso qualsiasi accertamento sulla compatibilità della nuova sede con gli obblighi di assistenza del familiare e la verifica dell’esistenza di ragioni organizzative e produttive tali da non poter essere soddisfatte in altro modo (vedi Cass. 24015/2017).

Secondo l’interpretazione della Corte il trasferimento del lavoratore di cui al c. 5 dell’art. 33 L n. 104 del 1992 è configurabile anche nell’ipotesi in cui lo spostamento venga attuato nell’ambito della medesima unità produttiva, quando questa comprenda uffici dislocati in luoghi diversi. Il dato testuale contenuto nella norma, che fa riferimento alla sede di lavoro, non consente, infatti, di ritenere che questa corrisponda alla unità produttiva alla quale fa, invece, riferimento l’art. 2103 c.c..

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