Riduzione del personale e scelta del lavoratore da licenziare

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È legittimo il licenziamento individuale per riduzione del personale se sono rispettati i criteri legali di scelta del lavoratore da licenziare: anzianità di servizio e carichi di famiglia.

L’esigenza, derivante da ragioni inerenti all’attività produttiva, di ridurre di una o più unità il numero dei dipendenti dell’azienda, se non dà luogo ad un’ipotesi di licenziamento collettivo, regolata dalla citata L. n. 223 del 1991, può di per sé concretare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento individuale, la cui legittimità dipende, tuttavia, dalla ulteriore condizione della comprovata impossibilità di impiegare in altro modo il lavoratore licenziato, ovvero dal rispetto delle regole di correttezza di cui all’art. 1175 c.c., nella scelta del lavoratore licenziato, tra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità.

In tal senso, si è espressa recentemente la Corte di Cassazione – sezione lavoro – con la sentenza in esame – n. 31652 del 06/12/2018 – che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, evidenzia i criteri di scelta legali ai quali si deve ricorrere per individuare il lavoratore da licenziare.

La vicenda trae origine dal ricorso formulato da un lavoratore avverso le due sentenze di merito che ne avevano dichiarato la soccombenza, con riferimento ad un licenziamento oggettivo allo stesso intimato per ragioni inerenti l’attività produttiva, a seguito delle innovazioni informatiche adottate da parte dell’azienda datrice di lavoro, che avevano determinato la contrazione del tempo di lavoro dedicato alla immissione dei dati e, di conseguenza, l’esubero di manodopera addetta alla elaborazione dei dati medesimi, nel settore in cui quest’ultimo era addetto.

In particolare, il lavoratore ricorrente lamentava che la Corte di merito, una volta appurata l’esistenza di una ragione organizzativa di riduzione di una unità di personale addetto alle mansioni di immissione e elaborazione dati, non avrebbe verificato il rispetto da parte datoriale, nella individuazione del lavoratore da licenziare, dei principi di correttezza e buona fede, imposti dagli artt. 1175 e 1375 c.c., e parametrati ai criteri di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, considerato che le mansioni da quest’ultimo svolte risultavano essere del tutto omogenee e fungibili rispetto a quelle di altri dipendenti (oltre che di collaboratori e lavoratori somministrati).

La Suprema Corte in accoglimento del suddetto ricorso, ricorda come, in punto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’esigenza di riduzione di personale legata a ragioni inerenti l’attività produttiva può legittimamente fondare il recesso datoriale se sorretto dalla comprovata impossibilità di reimpiegare in altro modo il lavoratore, che a sua volta sia stato individuato tra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità, e dalla corretta applicazione dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che devono in generale guidare ogni comportamento delle parti di un rapporto obbligatorio.

Si è quindi precisato che in caso di licenziamento per ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, ove il giustificato motivo oggettivo si deve identificare nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, nell’individuare il dipendente (o i dipendenti) da licenziare il datore di lavoro, oltre a tener conto del divieto di atti discriminatori, deve agire in conformità ai principi di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che devono in generale guidare ogni comportamento delle parti di un rapporto obbligatorio (cfr.. Cass. n. 14021 del 2016; Cass. n. 7046 del 2011; Cass. n. 11124 del 2004; Cass. n. 13058 del 2003; Cass. n. 16144 del 2001; Cass. n. 14663 del 2001).

La stessa giurisprudenza si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede ed ha ritenuto di poter fare riferimento ai criteri dettati dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, per i licenziamenti collettivi, per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti) e salva l’utilizzabilità di criteri diversi, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati, (Cass. n. 25192 del 2016).

La sentenza d’appello ha completamente omesso questo passaggio valutativo, necessario ai fini della corretta applicazione della nozione legale di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ed ha trattato il problema di individuazione del dipendente da licenziare come attinente all’obbligo di repechage, così confondendo due piani differenti. L’obbligo di repechage, anch’esso presupposto di legittimità del recesso, attiene alla possibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte (cfr. Cass. n. 5592 del 2016; Cass. n. 3040 del 2011), laddove il ricorso ai criteri di correttezza e buone fede si impone al datore di lavoro nella fase di individuazione del lavoratore da licenziare, tra più dipendenti svolgenti mansioni fungibili.

Posto che, come più volte osservato dalla stessa Corte di legittimità, correttezza e buona fede costituiscono modalità proprie e condizioni intrinseche di validità di esercizio del diritti, la cui prova, nel caso di recesso datoriale, spetta al datore di lavoro secondo il dettato dell’art. 5 Legge n. 604/1966, “la dimostrazione del “giustificato motivo” di licenziamento non può limitarsi alla esistenza delle esigenze obiettive di cui all’art. 3 delle legge citata, ma deve riguardare anche il nesso di conseguenzialità necessaria tra tali esigenze e la risoluzione del singolo rapporto di lavoro riguardante un particolare dipendente. In altre parole, deve riguardare anche le ragioni della scelta del singolo lavoratore licenziato (cfr. Cass. n. 14663 del 2001).

A tali principi non si è attenuta la sentenza impugnata che non ha in alcun modo verificato, ai fini della corretta applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, l’osservanza dei principi di correttezza e buona fede nella individuazione del ricorrente come lavoratore da licenziare, previa comparazione con gli altri dipendenti svolgenti analoghe mansioni.

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